LA LIBERAZIONE DELLA DONNA: LA CONDIZIONE DELLA DONNA IN BURKINA FASO – PARTE 6
Discorso di Sankara in occasione della giornata internazionale della donna a Ouagadougou l’8 marzo 1987
Se per la società quando nasce un maschietto è un "dono di Dio", la nascita di una bambina è accolta, se non proprio come una fatalità, come un regalo che servirà a produrre alimenti e a riprodurre il genere umano. Si insegnerà all’ometto a volere ed ottenere, a dire e a essere servito, a desiderare e a prendere, a decidere senza appello. Alla futura donna, la società coralmente infligge e inculca regole senza via d’uscita.
Corsetti psichici chiamati virtù creano nella bambina uno spirito di alienazione personale, sviluppano in questa creatura la necessità di protezione e la predisposizione alle alleanze tutelari e ai contratti matrimoniali. Che mostruosa frode mentale!
Così, bambina senza infanzia, già all’età di tre anni la piccola dovrà rispondere della sua ragion d’essere: servire, rendersi utile. Mentre il fratello di quattro, cinque o sei anni giocherà fino alla spossatezza o alla noia, lei entrerà senza troppi riguardi nel processo di produzione. Avrà già un lavoro: assistente casalinga. Un’occupazione senza remunerazione, naturalmente, perché non si dice in genere di una donna che sta a casa che "non fa nulla"?
Non si scrive nei documenti di identità delle donne non remunerate il sostantivo "casalinga" per indicare che non hanno un’occupazione? Che "non lavorano"?
Le nostre sorelle crescono fra riti e obblighi di sottomissione, sempre più dipendenti, sempre più dominate, sempre più sfruttate e con sempre meno tempo libero e svago.
Mentre il giovane uomo troverà sulla propria strada occasioni di crescita e di responsabilizzazione, la camicia di forza sociale chiuderà sempre di più la ragazza, a ogni tappa della sua vita. Per essere nata femmina essa pagherà un tributo pesante, per tutta la vita, finche il peso della fatica e gli effetti dell’oblio di sé - fisico e mentale - non la condurranno al giorno del riposo eterno. Fattore di produzione a fianco di sua madre - a partire da allora, più la sua padrona che sua madre - essa non rimarrà mai seduta senza fare nulla, non sarà mai lasciata con i suoi giochi e giocattoli, come suo fratello.
Ovunque si guardi, all’altipiano centrale o a nord-est dove predominano le società dal potere fortemente centralizzato, ad ovest dove vivono comunità di villaggio dal potere decentrato, o al sud-ovest, territorio delle collettività dette frammentarie, l’organizzazione sociale tradizionale ha almeno un punto in comune: la subordinazione della donna. In questo campo, i nostri 8.000 villaggi, le nostre 600.000 concessioni e il nostro milione e oltre di famiglie, hanno comportamenti identici o simili. Qui e là, l’imperativo della coesione sociale definita dagli uomini e la sottomissione delle donne accanto alla subordinazione dei fratelli minori.
La nostra società, ancora troppo primitiva e agraria, patriarcale e poligamica, fa della donna un oggetto di sfruttamento rispetto alla sua forza lavoro, e di consumo rispetto alla sua funzione di riproduzione biologica.
Come vive la donna questa curiosa doppia identità: quella di essere il nodo vitale che salda tutti i membri della famiglia, che garantisce con la sua presenza e la sua attenzione l’unità fondamentale, e quella di essere marginalizzata, ignorata? Una condizione ibrida, con un ostracismo imposto pari solo allo stoicismo della donna. Per vivere in armonia con la società degli uomini, per conformarsi al diktat degli uomini, la donna si chiuderà in una atarassia avvilente, negativa, tramite il dono di se stessa.
Donna fonte di vita ma donna oggetto. Madre ma servile domestica. Donna nutrice ma donna alibi. Lavoratrice nei campi e in casa, e tuttavia figura senza voto e senza voce. Donna cerniera, donna convergenza, ma donna in catene, donna ombra all’ombra del maschio.
Pilastro del benessere familiare, la donna partorisce, lava, scopa, cucina, riferisce messaggi, e matrona, coltivatrice, guaritrice, ortolana, macinatrice, venditrice, operaia. È una forza lavoro che cumula centinaia di migliaia di ore con rese scoraggianti.
Già ai quattro fronti della lotta contro la malattia, la fame, la miseria e la degenerazione, le nostre sorelle subiscono ogni giorno la pressione di cambiamenti che non controllano. Quando uno dei nostri 800.000 migranti maschi parte, la donna si fa carico di un lavoro supplementare. Così, i due milioni di burkinabé che risiedono fuori dal territorio nazionale hanno contribuito ad aggravare lo squilibrio della sex-ratio e così, oggi, le donne sono il 51,7% della popolazione totale. Sono il 52,1% della popolazione attiva.
Troppo occupata per badare ai propri bambini con l’attenzione sufficiente, troppo spossata per pensare a se stessa, la donna continuerà a sgobbare: ruota di fortuna, ruota di frizione, ruota motrice, ruota di scorta, grande ruota. Ingannate e maltrattate, le donne, nostre sorelle e nostre spose, pagano per averci dato la vita. Socialmente relegate al terzo posto, dopo gli uomini e i bambini, pagano per perpetuare la vita. Allo stesso modo, anche il Terzo mondo è arbitrariamente dominato, sfruttato.
Dominata e trasferita da una tutela protettrice sfruttatrice ad una tutela dominatrice ancor più sfruttatrice, prima al lavoro e ultima al riposo, prima ai pozzi e ai boschi e al fuoco del focolare ma ultima a placare la propria sete, autorizzata a mangiare solo quando ne è rimasto un po’; chiave di volta della famiglia, reggendo sulle spalle, nelle mani e nel ventre questa famiglia e la società, la donna è in cambio pagata con un’ideologia oppressiva, con tabù e interdizioni alimentari, con il troppo lavoro, con la malnutrizione, con gravidanze pericolose, con la spersonalizzazione e innumerevoli altri mali che fanno della mortalità materna una delle tare più intollerabili, più indicibili, più vergognose della nostra società.
Su questo substrato alienante, l’intrusione dei rapaci venuti da lontano ha contribuito a fermentare la solitudine delle donne e a peggiorare la precarietà delle loro condizioni.
L’euforia dell’indipendenza ha dimenticato la donna nel letto delle speranze castrate. Segregata nelle delibere, assente dalle decisioni, vulnerabile, dunque vittima prediletta, ha continuato a subire la famiglia e la società. Il capitale e la burocrazia hanno collaborato nell’assoggettamento della donna. L’imperialismo ha fatto il resto.
valentino
08. Marzo, 2015 | #
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Teonilla
05. Marzo, 2015 | #
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wally
01. Marzo, 2015 | #
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